Gideon "Zen" Viedichwazen

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    nato il: 26/06/2014




    Gideon Viedichwazen

    JAdmYIy

    FINCHE' LA GUERRA SARA' CONSIDERATA UNA COSA MALVAGIA, CONSERVERA' IL SUO FASCINO.



    Nome: Gideon. Viene dall'ebraico, e significa “distruttore”, “guerriero potente” e altri simpatici sinonimi. «Era il nome del tuo papà», gli diceva sempre la madre quand'era bambino.

    Cognome: Viedichwazen (il cognome della madre), da cui il nomignolo con cui tutti lo chiamano e con cui lui stesso si presenta: Zen.

    Soprannome: come detto sopra, Zen. Successe che all'asilo gli venne chiesto di presentarsi, e tutto ciò che capirono quei piccoli pargoletti dei suoi compagni fu Gnjefgdslèhzen; da lì la mania, anche delle insegnanti, di chiamarlo solo Zen. L’unica persona a chiamarlo ancora Gideon è la madre.

    Figlio di: “Ares, Ares funesto ai mortali, sanguinario, eversore di mura”.

    Età: 18 anni

    Data e luogo di nascita: 7 ottobre, New York

    Allineamento: Positivo/neutrale. E' buono, in senso generale; non gli piacciono le cattiverie e le ingiustizie... ma non per questo starebbe dalla parte degli dei in caso di guerra.

    Ruolo nella trama: semidio

    Caratteristiche fisiche: a volte la gente si chiede (ok, io mi chiedo) perchè Zen si consideri un Adone; certo certo, è carino, ma non come un figlio di Afrodite, né come certi attori che si vedono oggi giorno. E' di poco più alto della media, cosa che lo fa sembrare anche magro nonostante la discreta muscolatura, e ha fianchi e spalle strette, cosa di cui, stranamente, si vanta (“Almeno non sembro un armadio a due ante”). Ha un viso nientemeno che normale, piuttosto simmetrico, mascella non marcata, naso un po' a patata. Gli occhi sono... ba', nella norma, castani molto scuri o, come si imputa sempre a precisare “neri come la notte”, nonostante a nessuno importi particolarmente. Capelli biondi chiaramente tinti date le sopracciglia scure ma noooo lui dice che sono 100% naturali certo certo e che mi dici di quel flacone di camomilla che hai appena nascosto? tenuti abbastanza lunghi per una semplice questione di pigrizia che per moda, e mossi.

    Psicology: l’ego di Zen è spropositatamente grande. E' stato cresciuto dalla madre con la convinzione che in lui non ci fosse niente di sbagliato (non il suo deficit, non la sua dislessia); lui era solo diverso, speciale. Questo lo rendeva di conseguenza migliore… e cosa fa la gente quando si crede migliore? Insulta gli altri. Insomma, non lo fa con cattiveria: non vi insulta perché pensa che siate stupidi, ma semplicemente più stupidi di lui. Le sue battute sarcastiche, comunque, la maggior parte delle volte sono talmente pessime da rasentare il non-sense, anche se ci prova con tutto se stesso a essere divertente. Siate carini e fingete che sia simpatico, se non volete ritrovarvelo a) arrabbiato o b) molto triste. E uno Zen molto triste, è uno Zen molto fastidioso.
    E' un inguaribile romantico ottimista, tanto da stupirsi se la gente prova anche solo a deprimersi per cose da lui considerate sciocche, ed è solitamente allegro. Sorride a volte nei momenti meno opportuni e non riesce a trattenere le risate quando sente qualcosa di divertente (e, per la cronaca, anche il suo senso dell'umorismo è bacato: per lui sono buone battute della serie “un uomo entra in un caffè. Splash”).
    In lui combattono la consapevolezza che con la violenza non si risolve nulla, trasmessagli dalla madre, e l’irresistibile voglia di prendere a cazzotti la gente, presa da, pensate un po’, il suo divino padre. Perché a Zen non piace picchiare la gente, ma fin da piccolo è sempre stato il bambino più attaccabrighe... poverino, non è colpa sua se aveva i geni della Guerra violenta. Di solito non se la prende per gli insulti alla sua persona, (perchè dovrebbe prendersela? Sa bene di essere perfetto e di non avere motivi di sentirsi attaccato), ma succede che gli prendano i famosi due minuti di Zen e scoppi, facendo una strage; ciò accade soprattutto se a essere toccati (fisicamente, verbalmente, psicologicamente eccmente) sono dei suoi amici o persone che lui ritiene completamente innocenti (vedi l'episodio della vecchietta che cammina tranquilla e due ragazzini le buttano le borse della spesa a terra; dopo averli inseguiti per un isolato, Zen li ha obbligati a chiedere scusa e a portarle le borse fino a casa, nonostante il naso sanguinante e i lividi in faccia. “Giustizia!”).
    E' lunatico e un po' stupido, ma noi gli vogliamo bene come se fosse normale.

    Odio et Amo: Gli piace l'idea e crede nel Karma, ovvero che l'universo ripaghi sempre le persone per i propri comportamenti (se apparecchi la tavola per la mamma, il giorno dopo vinci alla lotteria, e cose così).
    Ha sempre adorato i fumetti, i film dei supereroi e i videogiochi, soprattutto quelli di guerra (la madre non apprezza, ma ha imparato a passarci sopra); cita spesso show televisivi, film o altro che nessuno conosce; gli piace il tramonto, combattere, cantare intorno al fuoco e stare in compagnia, ricevere complimenti, quando la gente si morde il labbro, viaggiare...
    Odia solo tre cose: i kiwi, la cattiveria gratuita e suo padre.

    Background: Per parlare di Zen, dobbiamo iniziare da diciassette anni prima la sua nascita.
    Agatha Viedichwazen è bella, bella da impazzire. Ha due grandi e intelligenti occhi azzurri celati dietro a degli occhiali dalle lenti spesse, e nasconde il suo fisico minuto da ragazzina sotto maglioni spessi e gonne larghe. Fa impazzire tutti gli studenti della facoltà di letteratura con quel carattere determinato e intransigente, ma sarà uno solo ad attirare la sua attenzione: un ragazzaccio che incute timore al solo guardarlo, che nessuno vuole avvicinare. Ma lei, forse proprio per questo, quella sera ad una festa del campus va a parlargli: si sa che è sempre il cattivo ragazzo a conquistare la fanciulla. Parlano tutta la sera, si confrontano, litigano. Lui è un militare, qui in permesso, lei una pacifista, che detesta la violenza... ma si innamora di lui, non può farci niente. Passano insieme circa due mesi, prima che lei scopra di essere incinta, e lui di dover partire per una missione. Saluti corti, senza lacrime nonostante il dolore della ragazza, promesse di rivedersi. Nonostante il pancione, Agatha continua a frequentare l'università, decisa a laurearsi. Il bambino nasce, e lo chiama come quel ragazzo che ha amato tanto: Gideon. E, come amava il padre, amerà il figlio, attaccandosi al piccolo per sopportare la perdita del suo grande amore.
    Il militare non torna. Agatha ci spererà sempre, non credendo al fatto che possa essere morto come tanti altri, né che si sia dimenticato di lei e del loro bambino.
    E Zen cresce circondato da amore. La madre gli insegna gli ideali di pace e di giustizia che vuole portare avanti, nonostante racconti ancora con gioia di quell'uomo che le rubò il cuore. Zen sa che potrebbe essere morto, che probabilmente l'ha abbandonato, ma per lui è un eroe.
    Potere solo immaginare la sua amarezza quando scopre che suo padre è un dio dell'Olimpo. Ha undici anni, sta tornando a casa dopo un gelato con gli amici, e verrebbe ucciso da una strana donna se a salvarlo non fosse un ragazzo armato di spada, che gli racconta la verità, e, per quanto incredibile, Zen gli crede. Dopo i saluti alla madre, parte per il Campo.
    Gideon passa al Campo Mezzosangue i successivi anni, intervallati da visite alla madre di pochi giorni e, dopo due anni nella cabina Undici, il fattaccio, anche noto come riconoscimento, che avviene giusto alla fine di una gara, della serie "sono fiero di te figliolo"... come se fino a quel momento Zen fosse stato solo un altro ammasso di geni, e dovesse dimostrare il suo valore per farsi amare.
    Zen non la prende molto bene, e passa i successivi anni arrabbiato con il padre e con gli olimpici in generale, finchè al suo sedicesimo compleanno torna a casa, deciso a non avere più a che fare con le divinità.
    E' passato un anno da allora, e ha finalmente deciso di tornare, perchè il Campo è l'unico posto dove il suo ardore in battaglia non è visto come strano, ma anzi come un dono.

    Friends: conosce un po' tutti, tranne gli ultimi arrivati. Ha amici, ovviamente, ma non ha ancora trovato il suo best (?).

    Love: Amore? Zen non ne è mai stato particolarmente interessato. Gli piacciono le persone belle, e filtra con facilità con chiunque ritenga tale, ma non ha mai avuto una vera storia. E' probabilmente etero, ma non si sa mai con lui.

    Armi: Spada. La spada è sempre stata la sua arma preferita: con la spada puoi attaccare direttamente, sentire l'odore del nemico e il suo fiato sulla pelle. C'è qualcosa di romantico nello scontro diretto, non trovate? Sensazioni che l'arco e le frecce non danno. La sua spada, di bronzo celeste, si chiama “Thymodes” (Violenta).

    Oggetti magici: none

    Poteri Extra. Per ora, non se ne è presentato nessuno (e non gli dispiace particolarmente, visti i poteri che di solito hanno i suoi fratellastri).





    • Ross Lynch as Gideon Viedichwazen •
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    Rk3oeFMd32HeTWGideon Viedichwazen
    Finchè la guerra sarà considerata una cosa malvagia, conserverà il suo fascino.
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    Edited by Kero' - 16/9/2016, 11:39
     
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    Gideon Viedichwazen
    Zen



    Nome: Gideon. Viene dall'ebraico, e significa “distruttore”, “guerriero potente” e altri simpatici sinonimi. «Era il nome del tuo papà», gli diceva sempre la madre quand'era bambino.

    Cognome: Viedichwazen (il cognome della madre), da cui il nomignolo con cui tutti lo chiamano e con cui lui stesso si presenta: Zen.

    Soprannome: come detto sopra, Zen. Successe che all'asilo gli venne chiesto di presentarsi, e tutto ciò che capirono quei piccoli pargoletti dei suoi compagni fu Gnjefgdslèhzen; da lì la mania, anche delle insegnanti, di chiamarlo solo Zen. L’unica persona a chiamarlo ancora Gideon è la madre.

    Età: 16 anni

    Razza: Mezzosangue

    Genitore divino: “Ares, Ares funesto ai mortali, sanguinario, eversore di mura”.

    Carattere: l’ego di Zen è spropositatamente grande. E' stato cresciuto dalla madre con la convinzione che in lui non ci fosse niente di sbagliato (non il suo deficit, non la sua dislessia); lui era solo diverso, speciale. Questo lo rendeva di conseguenza migliore… e cosa fa la gente quando si crede migliore? Insulta gli altri. Insomma, non lo fa con cattiveria: non vi insulta perché pensa che siate stupidi, ma semplicemente più stupidi di lui. Le sue battute sarcastiche, comunque, la maggior parte delle volte sono talmente pessime da rasentare il non-sense, anche se ci prova con tutto se stesso a essere divertente. Siate carini e fingete che sia simpatico, se non volete ritrovarvelo a) arrabbiato o b) molto triste. E uno Zen molto triste, è uno Zen molto fastidioso.
    E' un inguaribile romantico ottimista, tanto da stupirsi se la gente prova anche solo a deprimersi per cose da lui considerate sciocche, ed è solitamente allegro. Sorride a volte nei momenti meno opportuni e non riesce a trattenere le risate quando sente qualcosa di divertente (e, per la cronaca, anche il suo senso dell'umorismo è bacato: per lui sono buone battute della serie “un uomo entra in un caffè. Splash”).
    In lui combattono la consapevolezza che con la violenza non si risolve nulla, trasmessagli dalla madre, e l’irresistibile voglia di prendere a cazzotti la gente, presa da, pensate un po’, il suo divino padre. Perché a Zen non piace picchiare la gente, ma fin da piccolo è sempre stato il bambino più attaccabrighe... poverino, non è colpa sua se aveva i geni della Guerra violenta. Di solito non se la prende per gli insulti alla sua persona, (perchè dovrebbe prendersela? Sa bene di essere perfetto e di non avere motivi di sentirsi attaccato), ma succede che gli prendano i famosi due minuti di Zen e scoppi, facendo una strage; ciò accade soprattutto se a essere toccati (fisicamente, verbalmente, psicologicamente eccmente) sono dei suoi amici o persone che lui ritiene completamente innocenti (vedi l'episodio della vecchietta che cammina tranquilla e due ragazzini le buttano le borse della spesa a terra; dopo averli inseguiti per un isolato, Zen li ha obbligati a chiedere scusa e a portarle le borse fino a casa, nonostante il naso sanguinante e i lividi in faccia. “Giustizia!”).

    Storia del Personaggio: Per parlare di Zen, dobbiamo iniziare da diciassette anni prima la sua nascita.
    Agatha Viedichwazen è bella, bella da impazzire. Ha due grandi e intelligenti occhi azzurri celati dietro a degli occhiali dalle lenti spesse, e nasconde il suo fisico minuto da ragazzina sotto maglioni spessi e gonne larghe. Fa impazzire tutti gli studenti della facoltà di letteratura con quel carattere determinato e intransigente, ma sarà uno solo ad attirare la sua attenzione: un ragazzaccio che incute timore al solo guardarlo, che nessuno vuole avvicinare. Ma lei, forse proprio per questo, quella sera ad una festa del campus va a parlargli: si sa che è sempre il cattivo ragazzo a conquistare la fanciulla. Parlano tutta la sera, si confrontano, litigano. Lui è un militare, qui in permesso, lei una pacifista, che detesta la violenza... ma si innamora di lui, non può farci niente. Passano insieme circa due mesi, prima che lei scopra di essere incinta, e lui di dover partire per una missione. Saluti corti, senza lacrime nonostante il dolore della ragazza, promesse di rivedersi. Nonostante il pancione, Agatha continua a frequentare l'università, decisa a laurearsi. Il bambino nasce, e lo chiama come quel ragazzo che ha amato tanto: Gideon. E, come amava il padre, amerà il figlio, attaccandosi al piccolo per sopportare la perdita del suo grande amore.
    Il militare non torna. Agatha ci spererà sempre, non credendo al fatto che possa essere morto come tanti altri, né che si sia dimenticato di lei e del loro bambino.
    E Zen cresce circondato da amore. La madre gli insegna gli ideali di pace e di giustizia che vuole portare avanti, nonostante racconti ancora con gioia di quell'uomo che le rubò il cuore. Zen sa che potrebbe essere morto, che probabilmente l'ha abbandonato, ma per lui è un eroe.
    Potere solo immaginare la sua amarezza quando scopre che suo padre è un dio dell'Olimpo. Ha undici anni, sta tornando a casa dopo un gelato con gli amici, e verrebbe ucciso da una strana donna se a salvarlo non fosse un ragazzo armato di spada, che gli racconta la verità, e, per quanto incredibile, Zen gli crede. Dopo i saluti alla madre, parte per il Campo.
    Gideon passa al Campo Mezzosangue i successivi anni, intervallati da visite alla madre di pochi giorni e, dopo due anni nella cabina Undici, il fattaccio, anche noto come Riconoscimento. Stanno giocando alla Caccia alla Bandiera e proprio quando Zen cattura la bandiera nemica, ecco che spunta il simbolo di Ares sulla sua testolina bionda.
    Zen non la prende bene, torna a casa per il resto dell'estate... ma poi torna al Campo, deciso a non farsi abbattere da una cosa simile.
    Dopo altri due anni nella Cabina di Ares, sfida il Capogruppo, con cui già non andava d'accordo, per avere il suo posto. Vince, e diventa il nuovo Capogruppo della Cinque.

    Aspetto fisico: a volte la gente si chiede (ok, io mi chiedo) perchè Zen si consideri un Adone; certo certo, è carino, ma non come un figlio di Afrodite, né come certi attori che si vedono oggi giorno. E' di poco più alto della media (parlando di un ragazzo, siamo sul metro e ottanta), cosa che lo fa sembrare anche magro nonostante la discreta muscolatura, e ha fianchi e spalle strette, cosa di cui, stranamente, si vanta (“Almeno non sembro un armadio a due ante”). Ha un viso nientemeno che normale, piuttosto simmetrico, mascella non marcata, naso un po' a patata. Gli occhi sono... ba', nella norma, castani molto scuri o, come si imputa sempre a precisare “neri come la notte”, nonostante a nessuno importi particolarmente. Capelli biondi chiaramente tinti date le sopracciglia scure ma noooo lui dice che sono 100% naturali certo certo e che mi dici di quel flacone di camomilla che hai appena nascosto? tenuti il più vicino possibile al taglio “Justin Bieber” senza per questo farsi paragonare al cantante (?), e mossi.

    Combattimento: ha una scarsissima mira (cosa che lo penalizzza nel tiro con l'arco e nell'uso della lancia), migliorata ben di poco negli anni di allenamento, mentre negli scontri ravvicinati o corpo a corpo ha un talento eccezionale. Preferisce la spada (seguita dai pugni) a qualsiasi altra arma, e anche se il padre gliene ha regalata una (“Thymodes”, Violenta), continua a usare quella presa all'Armeria uno dei primi giorni al Campo.

    Segni particolari: crede nel karma, ovvero che l'universo ripaghi sempre le persone per i propri comportamenti (se apparecchi la tavola per la mamma, il giorno dopo vinci alla lotteria, e cose così).
    E' un nerd: ha sempre adorato i fumetti, i film dei supereroi e i videogiochi, soprattutto quelli di guerra (la madre non apprezza, ma ha imparato a passarci sopra). Cita spesso show televisivi, film o altro che nessuno conosce.
    Odia solo tre cose: i kiwi, la cattiveria gratuita e suo padre
    FINCHÉ LA GUERRA SARÀ CONSIDERATA UNA COSA MALVAGIA, CONSERVERÀ IL SUO FASCINO
    Prestavolto: Ross Lynch




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    Lucas sembrava sorpreso della domanda, quasi fosse normale per lui trovarsi in città a Giugno.
    «Oh beh io abito qui; cioè, non qui, a qualche chilometro più in fondo... in poche parole vivo a New York»
    “Non lo sa”, pensò Zen, “Non sa che per me non essere andato al Campo per così tanto è stata una tortura”. Spesso si dimenticava che la maggiorparte dei mezzosangue passava l’anno scolastico a casa, lontano dalle cose divine per concentrarsi sullo studio o sulla famiglia. Zen ripensò al periodo appena trascorso, alle giornate passate sulle panchine del parco, a camminare per le vie piene di gente che non chiedevano scusa quando ti tamponavano...
    «Sì», annuì prendendo un sorso da bere «Ora me lo ricordo». Ok, in realtà, non se lo ricordava per niente, ma non era importante la cosa in sé. Lucas sembrava imbarazzato, e Zen non ne capiva il motivo; era divertente la sua timidezza, così come avesse precisato che abitava qui, ma non qui al bowling.
    «E tu invece?Tu cosa ci fa nella Grande Mela?»
    Zen abbassò lo sguardo, mentre l’altro ordinava da bere. Cosa ci faceva nella Grande Mela... il suo sorriso si spense, e gli tornò in mente perché se n’era andato. «Per questo e per quel motivo», borbottò vago. Nella sua testa si affolavano volti sorridenti mischiati a spade e a genitori che non si fanno vedere. E a incubi di sangue. “Ma l’ho superata”, pensò, stringendo gli occhi. ”Entro la prossima settimana, tornerò; non mi interessa di mio padre”.
    Si distrasse a ripensare a quello che era successo a due anni prima, a quel ragazzino che a malapena conosceva, e al fatto che lui non avesse potuto fare niente. Lucas era scoppiato a ridere per qualche motivo che sapeva solo lui, e cercando di mantenere anche lui il sorriso, alzò lo sguardo, risponde alla domanda con leggerezza. In fondo, non era un segreto il motivo per cui se n’era andato la prima volta; l’aveva spiegato prima di tornare a New York a Chirone e al suo capocabina. «Conoscevi un certo Mason Long, al Campo? Era un mio fratellino». “Ed è morto”, aggiunse mentalmente. Strinse la bibita che teneva in mano, e per non rischiare di sbottare davanti a Lucas, distolse lo sguardo... solo per incontrare quello di un’altra persona.
    Era una ragazza di quelle che attirano irrimediabilmente l’attenzione, di quelle che non presenteresti alla mamma e che ci sono più probabilità che tu dica “mi ha rabuto il portofoglio” piuttosto che il cuore. O almeno, questi i pregiudizi che di solito accompagnano quel tipo di vestiario, ma a Zen non colpì (solo) per via dei piercing, ma per la sua aria fiera; fiera come intrepida, fiera come audace, e in qualche modo fiera come un animale feroce che ti avrebbe morso la mano se l’avessi tenuta troppo vicina ai denti. Lo fissava spudoratamente senza darsi problemi, e la cosa era piuttosto eccitante.
    Zen non riuscì a trattenere un sorriso sbieco, essendosi già dimenticato che fino a poco prima stava per distruggere il bicchiere. Inclinò leggermente la testa, chiedendosi se adesso lei avrebbe distolto lo sguardo. “Non lo farà”, si convinse. Per qualche motivo, ne era davvero convinto.

    Non volevo scacciare Lucas! XD Tanto Erica non ci sta, è solo Zen che si fa i viaggi ù.ù

    Dalla mistica (?) apparsa del demone, Zen non aveva molto calcolato Lucas; era stato troppo preso a capire se lei gli piaceva, o semplicemente lo intrigava (... ok, era stato preso a farle delle occhiate imabrazzanti, ma questo non sottolineiamolo troppo), ma quando disse che se ne sarebbe andato, Zen non potè fare a meno di alzare la testa di scatto verso di lui, sorpreso.
    « vi lascio da soli», stava dicendo Lucas. «Sono stanco, quindi me ne andrò...» Era... inaspettato. Non che a Zen dispiacesse da tagliarsi le vene, ma anche se aveva intuito la paura di Luca, pensava che anche lui fosse curioso riguardo ad Erica, che volesse parlarle, saperne di più sui demoni. Forse era Zen l’ingenuo a credere che davvero lei non avrebbe fatto loro del male, ma non era ugualmente strano che Lucas volesse andarsene con quella che sembrava una scusa? “Magari è davvero stanco”, pensò confuso “Ma perché non vuole restare ancora? Non è che se c’è lui non posso concludere niente”. Anzi, sapere che in caso di problemi ci sarebbe stato anche Lucas era stato il motivo che l’aveva convinto definitivamente ad andare a quel tavolo.
    Lucas colse finalmente l’invito a bere un po’ dalla sua birra, e nel riposarla sul tavolo avvicinò le labbra all’orecchio di Zen: «Attento a quello che fai». Poi se ne andò.
    Zen rimase qualche istante ancora a fissare la porta del bowling, e si voltò solo quando Erica rispose alla sua domanda. Lei non sembrava particolarmente colpita dall’uscita di scena di Lucas.
    «Le armi come quelle che descrivi sono rare, rarissime. E non trovo un vero motivo per cui dovresti averne una»
    Zen alzò le sopracciglia divertito «Magari sono un figlio prodigio, e il mio divino padre ha voluto farmene dono», rispose ironico. Certo. Perché Ares non aspettava altro che fare regali di Natale a Zen, che non pregava gli dei da quasi due anni, quando la sua ultima invocazione era stata totalmente inutile nel salvataggio di un semidio. “Le religioni sono l’oppio dei popoli”, è la citazione famosa del giorno, no? E Zen non era più un «Magari un giorno mi dimostrerai cosa sai fare con un coltellino». Scosse le spalle, ancora sorridendo.
    «Certamente, purchè non si contro di te. Non vorrei farmi male». Era una battuta, o davvero sapeva che sarebbe stato battuto...? Chi può dirlo.
    Erica (era strano riferirsi ad un demone con un nome così normale) finì la birra, e propose di uscire all’aperto per fumare. Zen non era un grande amante del fumo, a causa dell’insistente campagna della madre contro tutto ciò che “uccide il corpo”, ma non pensò neanche per un secondo di declinare l’offerta di passare ancora del tempo con lei. Portò la bottiglia alla bocca e la scolò il più in fretta possibile (dimenticandosi, per altro, che reggeva da schifo l’alcol), e quando l’ebbe finita la appoggiò sul tavolo, ghignando. «Quando vuoi».
    Si alzò per pagare, e aspettò che Erica lo imitasse per portarlo all’esterno.
    Che le cose stessero per farsi interessanti? (No, ma lasciamoglielo credere)

    Il sorriso di Erica non era bello. Belli sono i tramonti, i cuccioli di foca... il suo sorriso era più affascinante, che bello. Leggermente inqueitante sotto molti punti vista (“Zeus, sta’ qua con quei denti ha ucciso delle persone, probabilmente”), ma forse proprio per quello attraente. Zen si chiese se avrebbe pensato la stessa cosa se Erica fosse stata un’umana. “Nah, probabilmente l’avrei notata, questo di sicuro, ma non ne sarei stato così intrigato”.
    Gli venne la pelle d’oca quando lei parlò della sua dieta. Pensava che fosse un po’ una leggenda, quella dei demoni che bevono sangue, o che per lo meno non si applicasse a tutti. Sapeva che erano impuri, come i mezzosangue, ibridi che non appartenevano né a questo né a quel mondo totalmente, quindi si era sempre aspettato che fossero sotto molti punti di vista umani.
    Si trattenne dall’indietreggiare, ma mantenne lo sguardo fisso sugli occhi neri della ragazza.... cheee giusto per mantenere l’umore di Zen alto, le mostrò le zanne. Ovvio, tipica tattica di seduzione. «Riesco a sentire il sangue che ti scorre vivido nelle vene, sento l'odore acre del sangue divino. Mi basterebbe un semplice gesto, e tu saresti mio». “Su questo non ci piove”, pensò, “Anche adesso”. Troppo su di giri per sentirsi in imbarazzo per la consapevolezza che, se lei glielo avesse proposto, avrebbe fatto qualsiasi cosa, anche in quel vicolo.
    Era spaventato, forse, ma...- “Cazzo, ma niente. Se abbasso la guardia, ‘sta qua mi mangia... accostamento di parole sbagliate, decisamente sbagliate. ‘Sta qua mi sbatte contro il m- peggio, decisamente peggio”.
    Paura e desiderio combattevano dentro il piccolo e ingenuo Zen; era normale che le due emozioni andassero di pari passo? Era normale per lui eccitarsi per una tipa che ti sta minacciando di mangiarti a colazione? Era una prima volta persino per lui. Appoggiò la testa e le spalle contro il muro, sentendo come calamita il corpo di lei accanto che lo sfiorava appena. “Forse mi sto un po’ lasciando andare. Che sia la birra o il mio corpo, qualcosa potrebbe distruggere la mia sanità mentale e farmi fare qualcosa di stupido... più stupido”.
    «E’ un vero peccato che io non voglia morire, allora». Già meglio riperterselo altre mille volte, per imprimerselo bene nella testa.
    « Non ti morderò, per questa volta. Anche se l'idea è abbastanza attraente.»
    ...certo, poi si metteva lei a dire parole come “attraente” e tutto andava a farsi benedire. Zen chiuse gli occhi, e quando li aprì pochi secondi dopo, chiese, vinto dalla curiosità: «Come funziona questa cosa del... sangue? Ti è necessario per vivere, o lo fai per divertimento?»

    «Temo di essere una pessima osservatrice allora: non ti ho mai notato»
    Bang, due ragazze che nel giro di pochi giorni ammettono di non averlo mai notato. “Flavia ha i suoi impegni a cui badare, non sta mica a guardare che io li controlli”. E poi, che importava se la gente non si accorgeva di lui? Non aveva bisogno che qualcuno glielo dicesse per sapere di essere essenziale (addirittura?) per il Campo Giove; sostituibile, come ogni soldato, ma importante in tutto quello che faceva come chiunque altro.
    In quel momento, Lion decise di fare la sua entrata in scena, tipico cappello da sera addosso. Aaron non ne aveva mai capito il significato, e non lo aveva mai chiesto per lasciare al ragazzo i suoi segreti; se voleva girare con quello, poteva farlo, purchè non intaccasse i suoi lavori di centurione (già di per sé ostacolati dall’essere così poco simpatico alla maggiorparte del tempo).
    In ogni caso, sembrava felice di essere stato “richiamato” con Aaron e Flavia, e il ragazzo si dispiacque di non potergli offrire la chiacchierata di cui di sicuro aveva bisogno.
    Erano tre ragazzi, tutti con posizioni sociali elevate, e uno meno capace di parlare dell’altro. Bella roba.
    «Interrompo qualcosa?»
    «E cosa dovresti star interrompendo?», chiese stupito Aaron. Non gli era mai neanche passato per l’anticamera del cervello di provarci con Flavia, o stare da solo con lei per chissà quale motivo, e la domanda di Lion di conseguenza era inutile agli occhi di Aaron.
    »No, certo che no», intervenne anche Flavia «Comunque, tu sei …?»
    Di nuovo, una domanda inaspettata. Come potevano non conoscersi? Lion era al Campo da parecchio, ormai, e dovevano avere avuto occasioni di contatto, da Centurione a Centurione. “Possibile che la prima coorte abbia così tanto ignorato un figlio di Plutone, da ignorarne l’esistenza?”
    Lasciò che fosse il ragazzo a rispondere: non erano fatti sue intromettersi (anche se gli dispiaceva per Lion: essere ignorato era una cosa, essere disconosciuto doveva far decisamente male invece).



    Erica rise, di nuovo. Forse era un demone giulivo, forse Zen era davvero divertente, più di quanto penasse (e già era sicuro di essere parecchio simpatico)... o forse era una facciata. “Buona la seconda”. Aveva riso, ma il viso diceva altro; non era felice. Aveva ucciso.
    Sentirselo dire effettivamente, era peggio di quanto avrebbe immaginato; Zen aveva combattuto mostri, li aveva ammazzati, ma non si riteneva un assassivo: era stata sempre autodifesa. Non aveva mai preso in considerazione l’idea di uccidere un innocente... mentre lei l’aveva fatto; aveva dovuto farlo. “E’ come una drago”, aveva detto, e Zen le credette. Forse era stupido, innocente e ingenuo, ma le credette. Pendeva dalle sue labbra e si segnava ogni parola che sentiva come vera.
    «Io di solito non parlo così tanto con gli sconosciuti», Zen annuì, cercando di non mostrarsi troppo felice per quella cosa (lui era speciale, quindi? Fantastico! Era un “tipo a posto”; quasi come dire ti amerò per il resto della mia vita, no?). Erica stava parlando di cose serie, di suoi pensieri che, davvero, a chi altro aveva potuto confidare, chi altro sarebbe stato ad ascoltarla? Forse chiunque, forse nessuno... forse le ci voleva un mezzosangue un po’ tonto disposto a credere alle sue parole.
    Lei aveva ucciso, uccideva ancora, e lo avrebbe fatto fino alla morte, per istinto e per necessità... ma per la prima volta, Zen pensò che la cosa non fosse così “sbagliata”. Non aveva scelto lei quella vita, come lui non aveva scelto di essere un mezzosangue. Lei era una drogata, ma non di propria iniziativa.
    «Nutrirsi di una persona crea un contatto» Zen alzò lo sguardo, attento. «È meglio del sesso a volte. È stupefacente per entrambi. Riusciamo a inebriare le persone con il nostro morso, sono come drogati, non sentono nulla e poi, se noi lo vogliamo, loro non ricordano nulla.»
    Meglio del sesso e, in caso qualcosa fosse andato storto, la possibilità di dimenticare. Se un demone come Erica, con abbastanza autocontrollo da fermarsi, l’avrebbe morso... cosa avrebbe provato? Cosa avrebbe ricordato al mattino? Deglutì, guardandole le labbra. Come sarebbe stato sentire i suoi denti su di lui, che si nutrivano del suo sangue, creare quel “contatto”. «Se io ti mordessi, proveresti emozioni mai provate.»
    Si inumidì le labbra, come assetato di quelle emozioni.
    “E’ pericoloso”, dice la testa.
    “Fallo” risponde il cuore.
    “Sei un deficiente”, commenta la player.
    Si riscosse solo quando si ritrovò gli occhi di Erica di nuovo addoso. “Basta parlare di me”. Di cosa voleva parlare, dopo tutto... quello? Dell’ultimo film visto, di politica, della moda di portare i pantaloni col risvolto? Non c’era nessun argomento che avrebbe riattirato l’attenzione di Zen al mondo normale.
    Era stato zitto per tutto il tempo, incantato, ma adesso commentò brevemente: «Parlano di voi come dei mostri», sfuffò divertito. Non c’era bisogno di esplicitare “chi”. «Ma se tu stai dicendo la verità... cambia tutto. Tutto quello a cui il Campo si sta preparando... perché è una cazzata quella dell’”eccezione che conferma la regola”. Sei tu la regola adesso. Vuol dire che non tutti i demoni sono cattivi, e questo...». Cercò altri termini, inutilmente, così ripetè a bassa voce, scuotendo la testa «Cambia tutto. Non è una partita a scacchi, con pedine bianche e nere. E’ tutto dannatamente più difficile».
    Nessuno gli aveva mai detto che uccidere demoni era come uccidere persone con una scelta, nessuno. Gli avevano insegnato che l’avrebbero ucciso alla prima occasione, perché erano il male... ma non erano il male. Non tutti. Guardò Erica. “Non tutti”.
    Scrutò la ragazza qualche istante, prima di modersi l’interno guancia. «Se mi mordessi, quante possiblità avrei di venir ucciso? »


    "Diciamo che c'è una vaga possibilità che tu rimanga ucciso. Non fraintendermi, non è una cosa che scelgo i fare. Ma comincio ad essere affamata.-Aprì gli occhi e lo fissò, con uno sguardo non più carico di rabbia, bensì di fame, eccitazione, che era abbastanza palese. Si alzò dal muro e si avvicinò pericolosamente a lui. Fece una cosa che non faceva da anni. Lo toccò. Gli posò la mano piccola, pallida e fredda sul collo. Sentì i battiti del suo cuore, il sangue scorrere nelle sue vene, sentì tutto il corpo del ragazzo vivo, pieno di energie, pieno di forze. Erica non sapeva di chi era figlio il biondino, ma immaginò qualcuno di forte. Forse Ares, o Zeus. IL contatto tra di loro la inebriò ancora di più, il suo autocontrollo stava scomparendo. Continuò, con un mezzo sussurro: "E tu sei la persona più vicina a me in questo momento. E sento la tua vita scorrere nelle tue vene, sento il tuo cuore pieno di vita ed energia. Ma non voglio farti del male."



    Povera Erica, lei non lo fa per scelta XD Zen sì
    «Voi non siete innocenti». Questo era un colpo. Zen si era sempre considerato innocente, anche se la stessa cosa non pensava della sua famiglia da parte di padre; sapeva che gli dei erano egoisti, sciocchi e presuntuosi, e che facevano solo le cose quando avevano un tornaconto personale... ma lui? Gli altri mezzosangue? Non avevano colpe, giusto? “E invece a quanto pare no. Anche noi siamo mostri? Anche noi siamo marci?”. Sbuffò dal naso, abbassando lo sguardo e convicendosi a non farsi troppe paranoie. Poteva cambiare le cose, poteva smettere di essere nel torto. Aveva ancora tempo... poteva ancora farlo. Forse aveva sbagliato, in passato, ma non l’aveva fatto con cattiveria.
    La rabbia di Erica lo spaventò. Istintivamente, strinse la mano ancora in tasca, calmandosi al tatto del coltellino (che, come aveva precisato lei, sarebbe stato inutile, ma era pur sempre un’arma, e non sarebbe morto senza combattere). Forse farla parlare, farle pensare alla sua situazione e al mondo di merda in cui si trovavano tutti, “buoni” e “cattivi”, non era stata una buona idea. Dopotutto Zen non la conosceva, che ne sapeva lui, magari lei odiava i semidei e gli piaceva raccontar loro la sua vita per poi ucciderli nella notte, senza che nessuno si ricordasse di loro...
    Ma erano pensieri sbagliati, guidati da un pregiudizio difficile da estirpare in una sola sera. Rilassò le dita, portando fuori la mano dalla tasca per non lasciarsi prendere dall’iperattività e fare qualche idiozia che l’avrebbe messa in allarme. Zen doveva ricordarsi che Erica era, se non buona, almeno neutrale, e non gli avrebbe fatto del male volontariamente. “Volontariamente... che bella assicurazione”.
    Lei si calmò da sola, senza bisogno che lui facesse niente (non che sarebbe stato in grado di farlo, dopotutto, schiacciato al muro qual era, come un animale in trappola). Con gli occhi chiusi chiese un momento, forse per pensare alla sua proposta di bere il suo sangue... “beh, non è che gliel’abbia proprio proposto, ma immagino abbia capito quello a cui sto pensando”. Cavolo, perché doveva essere così facile dal leggere?
    Si passò una mano sulla guancia bollente, chiedendosi a cosa fosse dovuto il rossore: all’alcol o all’eccitazione?
    «Diciamo che c'è una vaga possibilità che tu rimanga ucciso». “Vaga”. Non era nessuna, ed era troppo generico per rischiare. “Ma non è neanche ‘molte possibilità’; non è ‘quasi sicuramente’. E’ solo... ‘vaga’. Quante volte sono stato più vicino alla morte di questo momento? E quando mai mi ricapiterà una situazione simile, un semplice ‘vaga’?”. E poi, ormai probabilmente si era spinto troppo in là per prendere armi e bagagli e andarsene come se niente fosse stato. Lei non lo avrebbe lasciato fare. Come per confermarglielo, Erica gli si mise davanti, bloccandolo contro il muro. Era affamata. Persino lui poteva capirlo, e, diciamocelo, non è che gli facesse tanto piacere. Era più bassa di lui di almeno una buona spanna, ma non pensò neanche per un momento che fosse indifesa, né infastidita dalla statura del ragazzo. Lei alzò il braccio, posandogli le dita fredde sul collo. Zen sussultò, senza distogliere lo sguardo, e sentì l’accelerazione del battito cardiaco, il cuore che gli saliva in gola, il calore e quasi dolore alla pancia e al basso ventre. Non era più in grado di distinguere la paura dal desiderio.
    «Woah». Ridacchiò nervosamente. «Forse adesso mi farebbe piacere quella sigaretta». Un sigaretta che avrebbe aumentato le palpitazioni e l’avrebbe reso solo più appetibile, ma lasciamogli credere di aver fatto una battuta divertente per allegerire la tensione.
    Prese un respiro profondo, allo stesso tempo cercando di non pensare e concentrarsi sulle dita morbide sulla sua pelle (come faceva a fare entrabe le cose? Non so, chiedetelo a lui).
    «Vuoi...?», accennò a chiedere, a bassa voce.



    La presentazione di Lion fu particolarmente teatrale. Aaron non evitò di lasciarsi scappare un sorriso divertito; Non aveva nessun bisogno di fare una cosa del genere, anzi: dimostrava di essere eccentrico e voler apparire al centro dell’attenzione... ma Aaron glielo concesse senza giudizi. Un po’ perchpè quel giorno doveva essere gentile, un po’ perché, in effetti, il figlio di Plutone aveva bisogno di apparire un po’ di più al centro dell’attenzione, di essere ricordato come il pazzo che gira con un cappello a cilindro e non come il figlio della Morte.
    Propose di andarsene, se stava “dando fastidio”, e di nuovo Aaron non capì. Era intelligente su tante questioni, eh, ma sui rapporti umani? No, decisamente, aveva parecchie lacune che una semplice gita per il Campo non avrebbe riempito.
    Flavia lo tranquillizzò (un compito in meno per il praetore, evvai!), ma Aaron si sentì in dovere di commentare la seconda parte, quella sugli allenamenti di scherma: «La Terza coorte oggi dovrebbe essere libera fino alle due» ...ecco, bravo il nostro capo che si studia a memoria gli orari di tutti per assicurarsi che non sgarrino. Magari era una scusa, quella di Lion, nel caso voi lo voleste mandare via?
    Aaron fece vagare lo sguardo da una all’altro. “Forse non sono io la persona più socialmente incompetente del Campo”; forse no, ma sei sulla buona strada.
    «Com’è possibile che non vi siate mai visti?» domandò curioso, giusto per intavolare una parlata.



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